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di Atlante
Natasha Linhart prende parte al dibattito di Largo Consumo sulla decisione di Walmart di ritirare dal mercato le armi di assalto
23 Aprile 2020
Natasha Linhart, CEO di Atlante, ha contribuito all’inchiesta di Largo Consumo, testata giornalistica specializzata, in cui si analizzano le motivazioni dietro alla decisione del colosso Walmart di ritirare dal mercato armi di assalto e le loro relative munizioni.
Ci si domanda se si tratti di una scelta basata su un posizionamento autentico e valoriale, portato a mitigare il più possibile gli impatti del proprio business o se invece si tratti di un’astuta strategia di marketing che poi non trovi reale riscontro nei valori aziendali.
Natasha Linhart sottolinea che c’è la consapevolezza che il percorso verso l’abolizione della libera vendita delle armi in USA sarà ancora molto lungo ma che l’industria ed il commercio dimostrano la propria responsabilità verso questa battaglia anche attraverso le strategie di marketing. “Anche se tutto questo fosse solo marketing, sarebbe peraltro ottimo marketing, anche perché il sistema industriale e distributivo non può esimersi dal prendere una posizione”
Commenti dei lettori alla riflessione apparsa sulla copertina del 12/2019 di Largo Consumo
Il pubblico americano, dopo la decisione di Walmart di non vendere più armi d’assalto e relative munizioni nei propri store e dopo le decisioni di altri gruppi distributivi di levare dagli scaffali marchi food e non food redditizi ma eticamente poco sostenibili, si domanda se tali mosse non siano solo casi isolati e di facciata, bensì l’inizio di una nuova e magari duratura alleanza, di tipo valoriale e sociale, fra mondo retail e industrie fornitrici.
Se ne potrebbe dunque dedurre che negli Usa catene e fornitori abbiano scelto di impegnarsi di più nel sociale e nella difesa dei valori collettivi, o non potremmo invece essere di fronte ad una camuffata e opportunistica operazione di marketing?
«La strada per l’abolizione della libera vendita delle armi negli Usa è ancora molto lunga e ci vorranno parecchi anni per arrivare anche solo a un progetto di legge, ma almeno la via è tracciata e il commercio sta dimostrando di essere responsabile. E anche se tutto questo fosse solo marketing, sarebbe peraltro ottimo marketing, anche perché il sistema industriale e distributivo non può esimersi dal prendere una posizione» (Natasha Linhart, Amministratore delegato Atlante Srl)
In America la Rifle Association, che rivendica, fra gli altri diritti civili, la possibilità di avere un’arma e difendersi da soli, è una lobby antica e potente. La sparatoria avvenuta in agosto nell’iper mercato Walmart di El Paso, che ha fatto 20 vittime, è stata un episodio davvero grave, pur essendo un caso fra molti. Ma questo tragico evento ha sicuramente obbligato il più grande gruppo della distribuzione mondiale ad agire, per difendere la propria immagine. La mossa, per quanto ben intenzionata e coraggiosa, è stata attentamente ponderata sotto il profilo del marketing, visto che dai punti vendita non sono sparite tutte le armi, ma solo quelle d’assalto e da guerra, con le relative munizioni. Tutto il resto, in sostanza le pistole e le armi bianche, è rimasto. In fondo Walmart ha dovuto accontentare un po’ tutti, per non perdere o allontanare una parte consistente di clienti. In effetti in America qualcosa si sta muovendo, dato che da poco l’età minima per acquistare armi si è alzata da 18 a 21 anni.
Un piccolo passo certo, ma è avvenuto anche grazie al ruolo dei retailer. Come è successo già qualche anno fa quando, per primo, Starbucks ha vietato l’ingresso nei propri locali a persone visibilmente armate. In seguito, la nota catena di articoli sportivi Dik’s, ha totalmente abolito la vendita di armi di ogni tipologia e calibro: è stata una scelta molto coraggiosa. Se inizialmente i negozi hanno perso clienti, in seguito i frequentatori sono tornati, ripiegando su altri distributori per l’acquisto di oggetti da offesa. La strada per l’abolizione della libera vendita delle armi è ancora molto lunga e ci vorranno parecchi anni per arrivare anche solo a un progetto di legge, ma almeno la via è tracciata e il commercio sta dimostrando di essere responsabile. E anche se tutto questo fosse solo marketing, sarebbe peraltro ottimo marketing, anche perché il sistema industriale e distributivo non può esimersi dal prendere una posizione.
In Europa si potrebbe pensare che i distributori e i commercianti dovrebbero limitare la vendita di alcuni prodotti, come alcolici e sigarette e in effetti alcune regole ci sono, almeno a livello legislativo. Ma stiamo attenti ai proibizionismi che, invece di contenere i problemi, li portano a conseguenze ancora peggiori. Con questo non voglio dire che sia logico che un bambino possa comprare una bottiglia di liquore, ma solo che le questioni vanno affrontate con buon senso.
Se un ragazzo, anche minore, fa una spesa articolata e compra un semplice quartino di vino per un familiare la cosa non mi pare tanto grave da scatenare una crociata, tanto più che in Italia c’è, rispetto ad alcune nazioni nordiche, un consumo molto più responsabile e, per giunta, abbinato al pasto. E preciso che le armi sono una cosa, mentre una bottiglia di vino o di birra è ben altro. Insomma, la questione dei divieti non è certamente semplice da affrontare, ma la soluzione va ricercata soprattutto nell’educazione di massa e nella cultura.
La via del proibizionismo e della eccessiva regolamentazione, come già detto, non è la strada maestra per soluzioni di successo. Il sistema produttivo e distributivo dovrebbe promuovere serie campagne di sensibilizzazione nelle scuole, investendo una percentuale del proprio turn-over per educare e discutere con i giovani e mostrare in questo continuità e articolazione precisa.
I retailer italiani oggi devono scegliere quali sono le loro battaglie, perché non si può affrontare tutto, dal riscaldamento globale alla violenza sulle donne, dalla fame nel mondo alla raccolta dei rifiuti, per arrivare alla tutela dei diritti dei lavoratori nei Paesi terzi, o all’adozione di stili alimentari consapevoli. Bisogna focalizzarsi, piuttosto, su un tema o su una serie di temi coesi, e svolgerli fino in fondo, con impegno, determinazione e disposizione a impiegare risorse umane e finanziarie tali da sostenere lo scopo. Fare la propria parte e dare un segnale di responsabilità sociale è comunque fondamentale, perché il pubblico vuole misurarsi con aziende dotate di un sistema di valori positivo.