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di Atlante
Agricoltura cellulare: il punto e le prospettive future
18 Maggio 2023
L’emergenza climatica dovuta a cause antropiche e il crescente bisogno di cibo, proteine in primis, per l’aumento della popolazione mondiale stanno stimolando l’industria alimentare a trovare soluzioni innovative, meno impattanti sulle risorse naturali, come il terreno e l’acqua, che stiamo esaurendo. La produzione di materie prime si sposta così necessariamente dal campo al laboratorio, aprendo scenari inediti e realizzando prodotti nuovi, più o meno simili a quelli a cui siamo abituati: coltivazioni idroponiche e aeroponiche permettono di avere insalate, erbe aromatiche e altro ancora, mentre per i derivati animali a dare una risposta è l’agricoltura cellulare.
La ricerca nel foodtech dei paesi avanzati attira capitali privati e statali, promettendo soluzioni ecofriendly ed etiche, e qualche risultato lo sta già dando. In Italia attualmente l’agricoltura cellulare è osteggiata da chi vede minacciati i propri interessi da un competitor che, sul lungo tempo, sarà più conveniente in termini economici e ambientali, mentre in altri stati, Singapore capofila, è già realtà. Nel nostro speciale sulla fermentazione di precisione abbiamo spiegato come avviene il processo di agricoltura cellulare e i suoi punti di forza.
Guardando al settore lattiero, ad esempio, l’israeliana Remilk è riuscita a formulare un analogo senza sfruttare vacche e senza, quindi, le conseguenti emissioni nocive di gas e liquami; lo scorso 2022 l’azienda ha annunciato la costruzione di uno stabilimento in Danimarca in grado di creare la stessa quantità di latte di 50.000 capi ogni anno. Più indietro il settore carneo che nella ricerca ha due principali ostacoli: trovare un siero di coltura economico e conferire una struttura soddisfacente alla “purea” di cellule, motivi per cui l’alternativa alla bistecca potrà essere realtà diffusa solo tra un paio di decenni.
L’Europa stessa sta mettendo in atto campagne informative per vincere la naturale diffidenza verso le novità. Ma cos’è la “carne coltivata”? È il risultato di un processo usato da decenni in altri settori e applicato oggi al food: le cellule – che possono essere di mammifero, asportate senza provocare danni e dolore all’animale, di funghi e di alghe – si moltiplicano attraverso un processo che si chiama fermentazione, simile a quello che produce la birra e il vino. Applicato a cellule di mammifero, funghi o alghe, alimentato da un siero di coltura – che fino a ieri era siero fetale bovino e adesso potrebbe derivare, ad esempio, dalla soia – le moltiplica, creando una sorta di purea che viene filtrata per ottenerne una più densa a cui deve essere conferita una struttura. Un pezzo di questa nuova carne costa da cinquanta ai settanta euro e non ha ancora una struttura convincente, quindi è lontano dal poter essere immesso sul mercato, ma i principali organi e istituti deputati a trovare soluzioni per il bene comune (dalla FAO alle Università, passando dai governi nazionali, tranne il nostro), ripongono in essa grande speranza per sfamare le popolazioni e alleggerire l’impatto antropico sull’ambiente.