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di Atlante
Intervista a Natasha Linhart: Tendenze Globali, Sostenibilità e il Ruolo dell’Italia nel Futuro dell’Alimentazione
15 Gennaio 2024
In questa intervista Natasha Linhart, fondatrice e CEO di Atlante, condivide la sua prospettiva sulla rivoluzione in corso nel settore alimentare.
Con oltre 30 anni di esperienza Linhart si concentra non solo su come la carne coltivata stia promettendo di trasformare il sistema alimentare a livello mondiale, ma ci porta anche attraverso le tendenze emergenti che stanno guidando le scelte dei consumatori, svelando opportunità uniche per l’export del made in Italy alimentare.
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«È un grosso passo indietro per il nostro paese ed è grave che non ci si renda conto di questo guaio. Quello della carne coltivata è un settore emergente che promette di rivoluzionare il sistema alimentare globale, e che apporterebbe enormi benefici alla salute del nostro pianeta. Vietarlo è miope e significa impedire all’Italia di avere un ruolo nel futuro dell’alimentare»: Natasha Linhart, britannica ma residente in Italia da oltre 30 anni, è fondatrice e ceo di Atlante, che fornisce prevalentemente prodotti alimentari italiani alle catene di distribuzione di mezzo mondo, compresi Usa, Cina e Giappone, con un fatturato (2023) di 250 milioni e un centinaio di dipendenti, sede a Casalecchio (Bologna). È quindi una profonda conoscitrice del comparto alimentare e dei trend al consumo.«Due tendenze su tutte, dice. «L’alimentazione vegetale e l’exploit del proteico. Il 51% dei cittadini europei ha scelto di ridurre il consumo di prodotti di origine animale e prevediamo che questo comportamento diventerà di cruciale importanza negli anni a venire. Le motivazioni sono legate ai temi di salute e sostenibilità, due fattori importantissimi che stanno guidando le scelte dei consumatori. Per quanto riguarda il proteico, si tratta di un trend che conquista uno spazio sempre più ampio (+9% di vendite), le famiglie sono alla ricerca di alternative nutrizionali che possano essere integrate in una dieta sana e bilanciata».
Domanda. Cosa chiede la grande distribuzione?
In linea con le scelte dei consumatori, richiede sempre di più prodotti che rientrino nel trend del salutistico e con claim riguardanti la sostenibilità. Grande interesse quindi per le referenze con ridotto contenuto di zuccheri e liste ingredienti corte e pulite. Poi c’è il fattore del prezzo, la grande distribuzione vive in un contesto altamente competitivo e il consumatore è molto attento al prezzo, specialmente dopo l’effetto dell’inflazione.
Domanda: Non c’è rischio, per una società di intermediazione, di rimanere schiacciati nell’atavico contenzioso tra grande distribuzione e produttori?
Dobbiamo più che in passato lavorare insieme per comprendere le esigenze e le sfide che ogni parte della catena vive, in modo da potere offrire al consumatore prodotti realmente sani, competitivi, sostenibili ed etici. Bisogna ottimizzare la filiera. Non si può più lavorare in compartimenti stagni l’uno contro l’altro.
Domanda: Come si sta modificando il sistema del commercio alimentare?
La distribuzione organizzata è ormai preponderante e continua ad acquisire quote di mercato. Al suo interno i superstore crescono del 9,6%, i supermercati del 9,4%, i discount del 9,1% mentre gli ipermercati registrano una crescita molto limitata.
Domanda: In che misura stanno incidendo le vendite on line?
Nel 2023 gli acquisti online in Italia hanno raggiunto i 54,2 miliardi di euro (+13% rispetto all’anno precedente). L’incidenza dell’e-commerce sul totale retail (online + offline) sale al 13% (era il 12% nel 2022). Nei servizi traina la crescita il settore turismo e trasporti (+30%). Gli italiani sono però tradizionali per quanto riguarda il Food&Grocery, che cala leggermente, nell’on line, rispetto al 2022 (-0,5%).
Domanda: Che spazi ci sono nell’export del made in Italy alimentare?
Nei primi 8 mesi del 2023, le esportazioni alimentari italiane nel mondo sono cresciute del 7,6% sullo stesso periodo del 2022, per un valore di 36,2 miliardi di euro (dati Coldiretti), nonostante le tensioni internazionali. Per sostenere questo trend di crescita dell’enogastronomia nazionale serve agire sui ritardi strutturali dell’Italia e modernizzare la logistica le cui lacune rappresentano un danno in termini di minore opportunità di export. Se lavoriamo su queste criticità ci sono ancora grandi opportunità da cogliere sui mercati. La cucina italiana è apprezzata in tutto il mondo, è molto facile da preparare e ha un costo-base irrisorio: con un pacco di pasta da mezzo chilo e una lattina di polpa di pomodoro si può mangiare in 4 e spendere poco più di un euro. Per un nostro cliente in Giappone abbiamo creato una linea di sughi per pasta che è già arrivata a 7 referenze sulla spinta delle richieste, in Cina stiamo lanciando dei formati di pasta speciali che sono apprezzatissimi e stanno incominciando a convertire i cinesi a mangiare la pasta. Con un po’ di innovazione e adattamento ad altre culture il made in Italy alimentare ha delle praterie davanti a sé.
Domanda: Però spesso ci sono ostacoli all’import in alcuni Paesi.
Sì, lo scambio di merci nel mondo vive in un contesto di dazi e barriere sempre in movimento. L’Europa applica dazi su certi prodotti importati per proteggere le proprie produzioni, per esempio lo zucchero. Così fanno altri paesi, compresi gli Stati Uniti, tanto che molte aziende, a cominciare da Barilla, hanno decido di produrre negli States per evitare i dazi. Quindi i problemi ci sono ma per fortuna c’è pure una grande richiesta del made in Italy alimentare e quindi si riesce comunque ad esportare.
Domanda: Come affrontare il problema dell’italian sound, dei prodotti tricolori fake?
Innanzi tutto lavorando sulla qualità. Un esempio: il Parmesan grattugiato venduto negli Usa non ha nulla a che fare con il nostro Parmigiano-Reggiano. Alla fine il consumatore si accorge della differenza, se teniamo l’asticella alta sulla qualità. Poi, ovviamente, le frodi vanno colpite e noi abbiamo costituito una divisione interna per individuarle e cercare di batterle.
Domanda: Quali sono le linee di sviluppo del gruppo nei prossimi anni?
Il piano aziendale è ambizioso e prevede un fatturato di 350 milioni entro il 2026. Concentreremo i nostri sforzi di crescita principalmente in Italia, Regno Unito, Giappone e Cina. Prevediamo di rinforzare il nostro team che passerà da 100 a 130 collaboratori. Al reparto di Ricerca e Sviluppo stiamo già chiedendo attenzione ai prodotti sostenibili, sia dal punto di vista della catena di approvvigionamento che dei valori nutrizionali, promuovendo alimenti sempre meno trasformati. Il rispetto delle persone e del pianeta non è solo una scelta morale ma anche una strategia di business oggi fondamentale.
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